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HIERONYMUS

PIPPI DIMONTE 5TET

Giuseppe “Pippi” Dimonte: contrabbasso, composizioni, arrangiamenti

Marco Vecchio: sassofoni

Simone Salvini: tromba

Alessandro De Lorenzi: chitarra

Nicola Benetti: batteria

Fono Fabrique, 2015

Ci troviamo di fronte a un disco molto gustoso con forti venature funk e bop immerse nel contesto della musica moderna. Giuseppe “Pippi” Dimonte, leader e contrabbassista, ci propone 8 brani inediti di natura variegata accompagnato da Marco Vecchio (sassofoni), Stefano Salvini (tromba), Alessandro De Lorenzi (chitarra) e Nicola Benetti (batteria). L’omaggio è a Hieronymous Bosch, che viene citato insieme a Kubrick nella nota di copertina, anche se in realtà i cinque richiamano complessivamente atmosfere decisamente più solari rispetto ai criptici dipinti dell’artista.

Il disco si apre con “Mimì”, un funk basato su un riff molto accattivate che lascia poi spazio ai 2 solisti per degli assolo molto coerenti con lo stile, un po’ più debole invece il leader sul suo solo. Proseguiamo senza indugio sulla title track che presenta un cambio repentino di atmosfera: un even-eight quasi latin introdotto da un riff di chitarra che richiama addirittura i Radiohead, il tema armonizzato si poggia su di esso in modo leggero ed elegante, i soli si chiudono con una coda di rara bellezza e delicatezza; senz’altro la prova migliore di Dimonte come compositore/arrangiatore. Il disco prosegue con “Pastis”, un brano prettamente be-bop dove finalmente oltre ai solisti sentiamo anche Benetti in nelle “trades”, piacevole ma niente di imprescindibile. Proseguendo incontriamo la quarta anima del disco: il latin, con “Ebony Dance” che inizia leggera e sognante su una bossa nova per poi trasformarsi in un Afro in 12/8 molto potente e ruvido da cui purtroppo il tema/background (forse troppo “brazil”) non riesce ad emergere. Con la successiva Neukolln, il quintetto ci regala una travolgente samba cromatica che in breve si tramuta in uno swing molto azzeccato. “Maracmé” è un breve e piacevole intermezzo senza soli che distende l’atmosfera tesa della precedente e ci introduce la successiva “Sigfried”, che inizia con un bellissimo intro per poi diventare un funky non particolarmente ispirato, un vero peccato che l’intro non venga poi riproposto. I cinque ci salutano poi con Vanilla, che inizia come un jazz waltz per poi diventare un funk rockeggiante. In generale non siamo certo di fronte a una pietra miliare, ma di sicuro Dimonte ha stoffa da vendere e crescendo sicuramente produrrà cose molto affascinanti, una particolare menzione va anche a Marco Vecchio che sul disco sicuramente domina come solista. Senza nulla togliere agli altri componenti, restiamo in attesa degli sviluppi creativi e nel frattempo ci gustiamo un disco forse un po’ acerbo ma comunque godibile e con delle ottime premesse.

Paolo Andreotti