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“UPWARD SPIRAL”

BRANFORD MARSALIS QUARTET WITH KURT ELLING

Branford Marsalis: sassofoni

Joey Calderazzo: pianoforte

Eric Revis: contrabbasso

Justin Faulkner: batteria

Kurt Elling: voce

MARSALIS MUSIC, 2016

I fratelli Marsalis fanno parte di quelle star del jazz che oggi sono considerate delle vere autorità nel campo. In quest’opera Branford ci tiene a specificare quanto il suo background artistico gli sia stato utile a elaborare nuovi linguaggi musicali, e con una sezione costituita da Joey Calderazzo (piano), Eric Revis (contrabbasso) e Justin Faulkner (batteria) riesce pienamente nell’impresa quasi impossibile di realizzare un disco di autentico JAZZ nel 2016. Il tutto impreziosito dall’incredibile talento Kurt Elling alla voce.

Il disco si apre nel più tradizionale dei modi: “There’s A Boat..” e la ballad “Blue Gardenia” sono due songs tratte dal tradizionale repertorio jazzistico, eseguite senza troppi maneggiamenti. Tema, soli, tema. Proprio come si faceva settant’anni fa, ma con una maestria figlia proprio di quei settant’anni di tradizione e  “canonizzazione” degli stilemi della musica afro-americana.

La vera sorpresa arriva con “From An Island to Another”, una canzone del cantautore Chris Whitley, scomparso prematuramente senza raggiungere la vera fama. Il quintetto trasforma il malinconico brano in qualcosa di più: si avverte lo smarrimento, l’angoscia, la rabbia di un uomo desolato. Il tutto con una certa pace interiore nei musicisti anche nelle dinamiche più intense. Calderazzo, in formissima, è campione indiscusso e trascina il gruppo, e chi ascolta, letteralmente da un’isola all’altra. Così come riesce a fare poi il leader supportato da un violento Faulkner che rende l’andazzo del brano molto rock ed energico.

Il 4 brano è sempre in questa direzione. Una ballad even eight, ancora una volta un brano popular: “Practical Arrangement”. Di nuovo al centro della scena abbiamo Calderazzo, che è un vero maestro nel ricercare l’atmosfera giusta per ogni momento del brano, e puntualmente fa decollare i solisti. Scritta da Sting, con cui Marsalis raggiunse il grande pubblico negli anni ’80, mantiene la direzione della precedente dimostrando che Branford e soci credono che il jazz non sia morto ma debba in qualche modo camminare verso il futuro, interpretare canzoni come ha fatto sin dalla nascita. Le canzoni sono cambiate, come anche la sensibilità e le conoscenze dei musicisti; questo implica la ricerca di un linguaggio che parli al pubblico del 2016, non c’è nulla di sbagliato nel produrre musica ascoltabile contrariamente a quanto una certa elite musicale vuole farci credere da Adorno in poi.

Con “Doxy” il quintetto ci delizia con un altro po’ di jazz nel senso tradizionale del termine. Quintali di Swing e lezioni di stile per tutti. Elling si dimostra maestro odierno di scat e Calderazzo letteralmente infuoca il pianoforte. Nella stessa direzione è la ballad “I’m a Fool to Want You” con la particolarità di essere eseguita dai soli Elling e Marsalis. I due maestri della melodia si intrecciano con una sensibilità disarmante scandendo l’armonia senza bisogno di accordi.

Rimanendo in tema di ballad, “West Virginia Rose”, di Fred Hersh, è la prossima sfida. Eseguita a un tempo quasi rubato, è un brevissimo assaggio di dolcezza.

“So Tinha De Ser Com Voce”, di Jobim, è l’unica bossa nova del disco. Kurt Elling non sbaglia un colpo e riesce perfettamente a calarsi nella parte del brasiliano affetto da “saudage”. Forse la ritmica entra un po’ violenta rispetto al canto, ma comunque non intacca l’atmosfera in continuo crescendo.

“Momma Said” è un brano di Marsalis, di natura free che nasconde un blues. Il gruppo improvvisa creando una certa instabilità rispetto a quanto ascoltato fino a questo momento. Inquietudine e straniamento pervadono l’ambiente e ci spinge a chiederci cosa ne sarà del resto dell’opera.

Inaspettatamente, il sassofonista americano estrae dal cilindro un’altra ballad, scritta dallo stesso su un testo di Elling: “Cassandra Song”. Quello che alcuni chiamano “jazz moderno” è chiaramente presente in questo lento e angosciante brano; una ballad che non si balla, un brano che vuole scoprirsi piano piano grazie a dei musicisti veramente straordinari non tanto per le indiscusse doti tecniche, ma per la sensibilità: Il solo di Calderazzo appartiene a un altro pianeta, ma Revis e Marsalis non sono da meno. Il crescendo incessante di emozione e dinamica è un vero turbine di sensazioni forti che sfocia nel solo di sax soprano. Dopo quest’esperienza sonora, il quintetto ci dona un’interpretazione di “Blue Velvet” che ci porta direttamente di un night club. Ma non siamo al sicuro, c’è qualcosa di insicuro. David Lynch avrebbe sicuramente inserito questa versione nel suo omonimo film: l’atmosfera è ambigua: il canto è dolce ma l’accompagnamento è tetro e oscuro.

Questo magnifico gruppo ci saluta con la title track “The Return (Upward Spiral)”, scritta da Calderazzo e Elling. Un bellissimo brano even eight, vestito di una melodia elegante e geniale. Ancora una volta a farla da padrone è lo stesso autore che vola agilmente sulla tastiera cantandoci tutta la sua arte. Passa poi la staffetta al leader che suona con gusto e agilità su un backbeat, molto R&B, scandito da Faulkner.

Chi ha avuto modo di sentirli quest’anno sul palco di Umbria Jazz di certo testimonierà un gruppo di valore indiscutibile. Il disco è il perfetto incontro tra il vecchio e il nuovo, apprezzabile sia dagli intenditori (non tradizionalisti), sia da chi ascolta il jazz per la prima volta. Elling è un vero maestro del canto jazz moderno e Marsalis, nonostante le continue critiche rivolte a lui e al fratello, si dimostra un musicista veramente appassionato e ansioso di cercare (e trovare) formule nuove per la musica, sua e di altri. Un disco da non perdere per capire cosa ci aspetta nei prossimi anni.

Paolo Andreotti