Accademia Filarmonica Romana

Stagione 2017-18

25 gennaio Teatro Argentina

“La Sete di Christo”

oratorio a 4 voci

Bernardo Pasquini (1689)

libretto di Nicolò Minato

Francesca Aspromonte – La Vergine

Francisco Fernandez -Rueda – San Giovanni

Luca Cervoni – Giuseppe d’Arimatea

Mauro Borgioni – Nicodemo / Christo

Concerto Romano

Paolo Perrone Gabriele Politi violini, Pietro Meldolesi viola

Marco Ceccato violoncello. Giovanni Battista Graziadio oboe

Matteo Coticone violone, Francesco Tomasi liuto

Stefano Demicheli clavicembalo, Andrea Buccarella organo

Alessandro Quarta direzione

 5_stelle

L’Accademia Filarmonica Romana , una delle più antiche istituzioni musicali d’Italia, diretta artisticamente da Matteo D’Amico che passerà il testimone da febbraio al Maestro Andrea Lucchesini, importante e stimato pianista e Accademico di Santa Cecilia, ha aperto la nuova stagione al Teatro Argentina con l’Oratorio di Bernardo Pasquini su libretto di Niccolò Minato “La Sete di Christo” del 1689.

La partitura si trova a Modena, nella Biblioteca Estense datata al 1689, e quindi dobbiamo pensare ad una esecuzione tenutasi presso la corte del Duca Francesco II d’Este in quell’anno, anche se, vista la voracità con la quale questo principe si aggiudicava i migliori Oratori scritti dai più grandi autori del secondo Seicento come Stradella, non dobbiamo escludere che la prima esecuzione si sia svolta a Roma, presso la Cappella della Famiglia dei Principi Borghese, della quale Bernardo Pasquini era Maestro. Secondo gli studi di Arnaldo Morelli, ringraziato da Alessandro Quarta in sala per i suoi fondamentali studi su questo grande compositore romano, noto un tempo solo per la sua importante produzione per tastiera, e che sono confluiti in un poderoso volume “ La Virtù in Corte” Bernardo Pasquini” edito da LIM, Niccolò Minato aveva già scritto il libretto per Draghi nel 1683 per la corte del musicologo Imperatore Leopoldo II, e quindi si può ipotizzare una data intermedia fra 1683 e 1689 per la prima esecuzione romana a Palazzo Borghese.

Ho avuto occasione, recensendo il cd, di rimarcare la bellezza di questo eccezionale Oratorio, che pur realizzato nell’ambito romano, rifugge la pompa di molte opere composte in questo periodo da altri musicisti, che in genere narrano le vicende edificanti di Santi o personaggi biblici, spesso in una sorta di erotismo subliminale, ma sobriamente ci offre una sorta di Meditazione sulla Passione e Morte di Cristo, da parte di quattro personaggi che si ritrovano sotto la Croce: La Vergine, San Giovanni, Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. Tutto ruota intorno alla estrema sofferenza di Gesù che si eprime a metà Oratorio con una sola parola in latino : Sitio, sete. Quindi il tema è la Sete, l’acqua che Cristo-Dio ha donato all’Umanità, facendola sgorgare dalle rocce, con Mosè, che è stata data ai suoi discepoli. E’ l’acqua che sgorga come lacrime dagli occhi della Vergine e degli altri personaggi, che vorrebbero dissetare con queste il Cristo morente, al quale, invece, viene soltanto offerta, dileggiando la sua sofferenza, una spugna imbevuta di aceto e fiele.

Ciascun personaggio dialoga introversamente con la propria anima sconvolta dal dolore o interagisce con gli altri in un crescendo drammatico che senza tregua porta alla Morte e alla disperazione. Sono dialoghi esacerbati, nei quali il canto diventa l’unico modo per esprimere una tragedia senza fine, un orrore incommensurabile, una pena infinita che porta a domande senza possibili risposte, “perchè gli Ebrei hanno fatto questo al loro Signore, perchè lo hanno sottoposto a questo martirio.”Di questo capolavoro musicale e drammatico, del quale già il libretto di Mineto da una pagina di altissima letteratura, Alessandro Quarta ci ha offerto una esecuzione impareggiabile, imprimendo un timbro serrato alle dinamiche agogiche e concitate legate soprattutto al ruolo di Nicocemo, e le necessarie morbidezze patetiche che arrivano al lirismo, come nelle arie destinate a Giuseppe d’Arimatea e alla Vergine, il cui lamento finale offre una pagina veramente sublime di straziante dolore.Gli interpreti sono tutti straordinari, a cominciare dall’Ensemble Concerto Romano, formato da musicisti di altissimo livello: ineguagliable il violoncello di Marco Ceccato, un vero virtuoso come sappiamo dello strumento, che spesso accompagna le arie, i due violini straordinari di Paolo Perrone e Gabriele Politi, grandi conoscitori ed esecutori del repertorio romano sei-settecentesco per violino, il cembalo di Demicheli, nuona entrée rispetto al gruppo dell’album insieme all’eccezionale liuto e chitarra barocca di Francesco Tomasi che sta sempre più dimostrando l’alta levaturadelle sue prestazioni.

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Ma sono gli interpreti vocali, che ulteriormente maturati, vocalmente e drammaturgicamente rispetto all’album inciso nel 2015, hanno offerto una prova superba. Francesca Aspromonte, ora sulla strada di sempre più impegnativi ruoli sia in Europa che in Italia, prossima Angelica alla Fenice nell’Orlando furioso di Vivaldi, e Almirena nel Rinaldo di Handel, ha mostrato una ancor maggiore , se possibile, rispetto al disco, presa di possesso del ruolo, con accenti di grande drammaticità, con una voce sopranile che pur mantenendo nel timbro una purezza cristallina e un virtuosismo assoluti, ci offre una maggiore profondità e spessore, una voce sempre più versata ai ruoli importanti del repertorio barocco settecentesco.

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Di Luca Cervoni non posso che dire meraviglie, le sue arie , le piu liriche, ci restituiscono un Giuseppe d’Arimatea dall’umanità sofferta e straziata dal dolore, il suo eccezionale timbro tenorile ci estasia con la sua dolcezza, mentre il Nicodemo di Mauro Borgioni con le agilità quasi impensabili per un moderno baritono, ci confermano un cantante dalla grandissime potenzialità, a lui dovrebbero andare i ruoli di basso-baritono di tanti personaggi di Handel o Scarlatti, quelli scritti per Gennaro Manna per intenderci: lo aspetto veramente in ruoli importanti. Il tenore Fernandez-Rueda è anch’esso cresciuto rispetto all’album, dando ulteriore potenza ed estensione al suo bel timbro .

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Alessandro Quarta come sempre è eccezionale nella direzione, nella cura e spessore con le quali legge queste partiture difficili, perchè non si prestano ai facili virtuosismi delle agilità, ma richiedono una sensibilità di espressione e di affetti patetici. Il Pathos in questa sublime opera di Pasquini e nella direzione di Quarta è l’elemento vincente che ha fatto apprezzare questa composizione del Seicento romano assolutamente poco nota, ai piu sconosciuta, ad un pubblico magari più abituato ad altri repertori. L’entusiasmo in sala era palpabile e la prova sono stati i caldissimi e prolungati applausi finali che hanno coinvolto tutti gli interpreti.

E’ stata una grande occasione per ascoltare musica barocca romana di altissimo livello, straordinariamente bella e coinvolgente, che ci ha offerto, addirittura nella sua serata inaugurale, l’Accademia Filarmonica Romana, che continuerà la stagione con altri concerti interessanti. Per noi barocchisti il prossimo appuntamento sarà l’8 febbraio con Marcello Di Lisa e il suo ensemble Concerto De Cavalieri.

Isabella Chiappara

Crediti foto: Max Pucciariello