Teatro alla Scala 18 marzo ore 20:00

4-e-mezzo

Ospite della Stagione Sinfonica del Teatro alla Scala per tre concerti, 16, 18 e 20 marzo, è Gianandrea Noseda. Il direttore milanese torna per un programma sinfonico dopo la sua ultima apparizione nel 2013. Il programma di questa sera prevede musiche di Ravel e Čajkovskij, due mondi apparentemente molto lontani ma in realtà legati tra loro su vari piani. La cultura francese e quella russa sono infatti legate a stretto giro da ogni punto di vista partendo dalla musica, fino all’arte e alla letteratura. Si pensi a Chagall o a Stravinskij o a come, anche dal punto di vista interpretativo, i due mondi siano correlati con grandi interpreti francesi o francofoni del mondo musicale russo e viceversa. gianandrea-noseda-ph-marco-brescia-589782mbdgPersonalmente si trattava della prima esperienza di ascolto di repertorio francese diretto da Gianandrea Noseda e il risultato è sembrato più che soddisfacente. Se nella versione per orchestra di Ma mère l’oye sono presenti alcune minime sbavature esecutive dell’orchestra nella seconda suite di Daphnis et Chloé l’amalgama era davvero eccellente. Da mettere in evidenza è l’impeccabile esecuzione da parte del primo flauto dell’Orchestra della Scala Andrea Manco e della spalla dei violini primi Salvatore Quaranta. La seconda parte del concerto prevedeva la celeberrima Sinfonia n.6 op.74 “Patetica” di Čajkovskij. Noseda, dopo gli anni trascorsi a San Pietroburgo, ha maturato una conoscenza del repertorio russo sconosciuta ai direttori occidentali contemporanei. La sua lettura è in equilibrio perfetto tra le interpretazioni asciutte e molto scorrevoli e quelle più retoriche. Il risultato è un suono morbido e curato senza a rinunciare, penso al terzo movimento, a delle scelte di tempo veloci e a tratti aggressive. La compattezza della lettura di Noseda crea una campata unica dal primo all’ultimo movimento evitando anche, cosa assai rara, lo spiacevole inconveniente dell’applauso alla fine dello Scherzo che rischia di spezzare dal punto di vista drammatico e drammaturgico la tensione accumulata che deve giocoforza trasfigurarsi in sconforto e rassegnazione nel movimento finale. Eccellente la prova dell’orchestra in particolare quella del primo fagotto Gabriele Screpis e degli ottoni tutti.

Luca Di Giulio